Deanna Comellini, i segreti dei tappeti, e il bagno di foresta

Moving forest è una foresta che si muove, ma è anche una foresta che muove i sentimenti (moving in inglese vuol dire commovente). È un concetto che mette in moto l’immaginazione, proiettandoci in un attimo tra alti alberi e tappeti di foglie, rami attraverso cui guardare il cielo, radici arcaiche da ritrovare. Ecco perché Deanna Comellini, fondatrice e art director dell’azienda di tappeti G.T. Design, ha deciso di chiamare così la sua ultima collezione di tappeti in lana a stampa digitale. Stratificazioni di linee geometriche e segni, che ricordano proprio la sovrapposizione degli elementi della foresta. «Parto dal bisogno che l’uomo ha di vivere nella natura, è il linguaggio da cui noi prendiamo vita e mi interessava lavorare su dei segni (segni e non decori!!) riconoscibili anche da culture differenti – mi spiega Comellini  che aggiunge – del resto, il tappeto iraniano era in origine il giardino che veniva portato all’interno d’inverno e custodito dal re come un tesoro. Riprodurre la natura, dunque, è la vocazione naturale di questo elemento. L’abitante che si presta ad entrarci si perde in un continuo sguardo verso il nascosto, l’intorno della foresta. Così come in un “shinrin-yoku” termine giapponese per “bagno di foresta”, ci si perde all’interno di un mondo che si muove, vive, respira anch’esso, abbandonandosi all’estasi meditativa per sentirsi di nuovo parte di un tutto, e per ritrovarsi, infine, in quell’universo naturale che dobbiamo tornare ad osservare, contattare, rispettare».

Tappeto della collezione Moving Forest

Tappeto della collezione Moving Forest

Deanna Comellini è un’anomalia nel mondo del design, non è un architetto designer, la sua formazione è avvenuta collaborando prima con studi d’arte e poi con aziende di design industriale ed è culminata nel 1977 nella creazione dell’azienda G.T.Design che dagli anni ’90 si focalizza sulla progettazione e produzione di tappeti: «Il tappeto è un oggetto anomalo nel contesto del design, perché è bidimensionale, quindi non puoi sconvolgerlo più di tanto. O almeno non con i soli canoni del design industriale. Io ho una formazione artistica e il tema del tappeto mi da la possibilità di lavorare sull’argomento in una certa maniera. Per me il tappeto è il luogo principe della case, il primo luogo in cui l’uomo ha avuto un’abitazione. Per cui penso che sia un oggetto molto particolare che deve corrispondere alle persone che lo vivono, quindi diverso per ognuno di noi, non caratterizzato troppo da un design molto aggressivo o preponderante rispetto al resto, deve essere il luogo in cui ciascuno trova se stesso. Perché anche quando sei in relax sul divano lo sguardo arriva lì. Per i bambini piccoli e per chi interagisce con loro è il luogo in cui si vive».

Come è nato il formato Native?
«È nato da un processo creativo. Avevo fatto i disegni della collezione e mentre li stavo facendo è nata questa forma, dalla ricerca sul segno primordiale. Questa voglia di avere una forma che non fosse tra quelle geometriche, dal bisogno di avere qualcosa di più organico, di più leggero. Native crea angoli differenti, crea movimenti intorno a sé».

Un tappeto della collezione Moving Forest nel formato Ultranative

Tappeto della collezione Moving Forest nel formato Native

Che tipo di ricerca caratterizza i tappeti G.T. Design e li differenzia dagli altri?
«Mi interessa una ricerca che non dimentichi le origini delle cose, il significato primordiale di questi oggetti. Non solo la decorazione, non solo la prospettiva, ma anche i contenuti. E l’oggetto che ne scaturisce deve assolutamente diventare della persona che lo sceglie.
Poi c’è la ricerca sui materiali, che è sinonimo di qualità, perché attraverso le caratteristiche fisiche e non solo estetiche si esprime l’eccellenza del processo. Nel disegnare un prodotto scelgo il materiale più adatto al linguaggio espresso dal suo aspetto formale. Faccio un disegno e poi quel disegno si esprime al meglio attraverso un materiale piuttosto che un altro. A volte è il materiale stesso che mi suggerisce una sua forma.
A volte mi invento io stessa una tecnica di realizzazione, come per la collezione Luoghi che è dipinta a mano su una base molto sottile perché in quel caso volevo lavorare sull’idea di leggerezza, doveva essere una cosa che veste la casa, in modo molto pratico».

Da cosa si riconosce un tappeto di buona qualità?
«Il mio consiglio è guardare quello che c’è dietro: il retro delle cose esprime sempre molto. La nostra collezione Luoghi, per esempio, ha un colore davanti e uno dietro, si può usare da entrambe le parti, perché è fatto con cura anche sul retro. Le cose belle sono curate anche nella parte nascosta. Lavoro sempre sull’estrema cura di quei dettagli che spesso non sono considerati ma fanno la differenza. Spesso non sai cosa rende bella una cosa ma tu sai che è bella e spesso questo qualcosa è l’estrema cura usata nel realizzarla.
Un altro esempio è la collezione Paglietta, realizzata con un filato che ho disegnato perché conoscendo come si comporta sul telaio sapevo che torcendosi in maniera differente avrebbe dato delle impressioni di vibrazioni diverse. E guardandolo lo capisci che dietro c’è una conoscenza del filato che va oltre il disegno».

Tappeto della collezione Luoghi

Tappeto della collezione Luoghi

Roberta del Vaglio

robertadelvaglio@dailyapple.it