Vita, anima e respiro di Emanuele Capissi
33 anni, un diploma di scenografo dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, un diploma ballerino classico, un buon curriculum di esperienze teatrali in giro per il mondo, la bellezza, una famiglia solida. Tutto questo non è stato abbastanza per salvare Emanuele Capissi da se stesso, per impedirgli, a 33 anni, di rinunciare alla sua vita, uccidendosi in una mattina di novembre. Troppa bellezza, mi viene da pensare, troppe aspettative da un mondo da cui non si sentiva valorizzato? Il suo sogno di vivere di arte tardava ad avverarsi, e la sua urgenza di emergere, di mostrare a tutti i risultati di tanto studio e tanta passione, si scontrava con i meccanismi che regolano il mondo della danza, del teatro e si, anche del design. Perché oltre ad essere un coreografo preparato, Emanuele portava avanti un progetto di lavoro sulle sedie. Recuperava sedute dismesse e gli dava nuova vita modificandole, dipingendole, trasformandole in scultura. Lo faceva già, tanti anni fa, quando il recupero non era ancora una tendenza. “Gli oggetti li reinvento per dargli vita, anima e respiro”, scriveva, e nei suoi progetti attingeva agli insegnamenti dell’Accademia con grande naturalezza.
Vita, anima e respiro.